09.06.2021 – COVID, INAPP: Nostri anziani tra i più colpiti in Europa

Comunicato Stampa

COVID, INAPP: “NOSTRI ANZIANI TRA I PIU’ COLPITI IN EUROPA, SERVONO POLITICHE A FAVORE INVECCHIAMENTO ATTIVO”

Dopo la Bulgaria e insieme a Grecia e Ungheria il nostro Paese ha avuto, prima del decollo della campagna vaccinale, il più alto tasso di letalità da coronavirus. L’analisi dell’Istituto attraverso i dati dell’Active Ageing Index un indicatore sviluppato dalla United Nations Economic Commission for Europe. Le cause? Non solo di “salute”: i nostri anziani sono più vulnerabili anche per le differenti condizioni economiche e sociali.

FADDA: “La pandemia ha messo in evidenza come un numero sempre maggiore di persone anziane si trovi in condizione di vulnerabilità e fragilità, soprattutto se relegate nelle RSA o prive di adeguata assistenza domiciliare.  Ma per gli anziani sono necessarie misure per favorire l’invecchiamento attivo, essi non possono essere solo oggetto di assistenza ma devono tornare ad essere artefici del proprio benessere”. 

Roma, 9 giugno 2021 – La popolazione anziana è stata quella che ha sofferto di più durante la pandemia. La percentuale di decessi rispetto ai casi di positività ufficialmente registrati, almeno prima del decollo definitivo della campagna vaccinale, ha continuato a vedere l’Italia tra i paesi più colpiti in Europa, con un valore pari al 3,1% significativamente sopra la media dell’area (2,4%). Da questo prende lo spunto uno studio dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP) basato sull’indice di invecchiamento attivo (Active Ageing Index – AAI), un indicatore sviluppato dalla United Nations Economic Commission for Europe (UNECE) costruito da 22 indicatori individuali, raggruppati in quattro domini: occupazione, partecipazione alla vita sociale, vita indipendente, in salute e sicurezza, ambienti abilitanti per l’invecchiamento attivo. Un indice che consente di mettere a confronto l’effetto della pandemia sulla popolazione anziana dei diversi paesi europei, focalizzando l’attenzione sulle dimensioni sociali che possono aver avuto un ruolo nel determinare l’impatto del Covid-19 sulla popolazione più matura.

Percentuale di morti sui casi totali da Covid-19 (%)

 

“La pandemia ha messo in evidenza come un numero sempre maggiore di persone anziane si trovi in condizione di vulnerabilità e fragilità – ha spiegato il prof. Sebastiano Fadda, presidente INAPP – All’aumento dell’aspettativa di vita nel nostro Paese non è corrisposto un ugual miglioramento delle condizioni economiche e sociali delle persone anziane, che vengono assistite principalmente quando non autosufficienti (attraverso l’indennità di accompagnamento, l’assistenza domiciliare e il ricovero nelle RSA), mentre il problema che va risolto è quello di mantenere a lungo in salute, sia fisica che psichica, le persone anziane.  A questo scopo è necessario sviluppare un sistema organico di politiche di sostegno all’invecchiamento attivo. Prevenzione sul piano sanitario, diete salutari, esercizio fisico, mantenimento di attività cognitive, fruizione attiva del tempo libero, relazioni sociali ed affettive, transizioni graduali verso l’abbandono degli impegni lavorativi costituiscono assi su cui sviluppare concrete politiche di sostegno. Questa dovrebbe essere la strada da perseguire perché l’anziano continui ad essere artefice del proprio benessere e non solo oggetto di assistenza. Purtroppo, come lo studio dell’Inapp dimostra, le differenti condizioni economiche e sociali incidono pesantemente su queste variabili e sugli effetti della pandemia sui nostri anziani”.

In particolare, l’indicatore considerato dall’INAPP consiste nell’Indice di Invecchiamento attivo di cui sopra, che include alcune dimensioni relative allo stile di vita, come l’esercizio fisico e la vita indipendente; ma, anche a concrete possibilità individuali, come il reddito, l’accesso alle cure, l’assenza di rischio di povertà o la possibilità di accedere ad opportunità formative. Confrontando il tasso di letalità da Covid-19 con questi indicatori nei vari paesi – si sottolinea nello studio – si rileva una correlazione negativa che, in sintesi, mostra come al miglioramento di tali fattori diminuisca, anche se lievemente, l’impatto letale della pandemia. Lo studio rileva inoltre come la fotografia scattata dall’indicatore non dia risultati uguali per tutta la popolazione anziana. L’indice sintetico di invecchiamento attivo mostra differenziali negativi per le donne, ma non meno importanti sono le differenze territoriali e quelle relative ai livelli di istruzione. Tra il 2007 e il 2016, per esempio, l’indice sintetico mostra un miglioramento di 2,1 punti nelle regioni del Nord, ma solo di 1,1 al Centro e 0,7 al Sud. Per quanto riguarda il titolo di studio, ad un livello basso (che include la licenza media) è corrisposto un miglioramento di 1 punto; ad uno intermedio (diploma di maturità o equivalente) un avanzamento di 1,6 punti; ad uno elevato (livello universitario) un incremento di 1,8. Anche il reddito mostra di avere avuto una influenza più significativa, se si pensa che ad un livello basso è corrisposto, sempre tra il 2007 e il 2016, addirittura un peggioramento di 1,2 punti, mentre a livello intermedio il decremento è stato di soli 0,1 punti. Il miglioramento dell’indice si verifica soltanto nella fascia reddituale più alta. Ciò mostra come molto ancora nel nostro paese sia necessario fare per ottenere un miglioramento dell’invecchiamento attivo diffuso in tutta la popolazione.

Leggi qui lo studio completo.

 

Per maggiori informazioni:

Giancarlo Salemi

Portavoce presidente Inapp (347 6312823)

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