13.10.2021 – Il premio Nobel per l’Economia questo anno è stato assegnato al professor David Card dell’Università di Berkeley “per il suo contributo empirico all’economia del lavoro”, unitamente al professor Joshua Angrist del Massachusetts institute of technology e al professor Guido Imbens della Stanford University.
Tutti e tre hanno in comune un tratto: hanno studiato il problema della individuazione empirica delle relazioni causali tra le variabili economiche, con particolare riferimento all’economia del lavoro. Un problema che sta al cuore della ricerca empirica. In particolare, il professor Card ha studiato gli effetti dell’introduzione del salario minimo in alcune aree degli Stati Uniti, arrivando alla conclusione che “l’aumento del salario minimo non porta necessariamente a un minor numero di posti di lavoro”, rimuovendo in tal modo una delle principali obiezioni contro l’introduzione del salario minimo legale.
Uno specifico studio del professor Card, realizzato nel 1992, prendeva come riferimento l’impatto dell’aumento del salario minimo nel New Jersey da 4,25 dollari l’ora a 5,05, scoprendo che questa misura non aveva comportato un impatto negativo sull’occupazione, e che anzi in alcuni casi l’effetto era stato positivo.
Dalle analisi dell’Inapp, che al salario minimo ha dedicato diversi studi e continuerà a dedicarne, si può dedurre che questa misura, opportunamente calibrata, possa essere considerata con favore per il nostro Paese, per diverse ragioni. In Italia esiste un’enorme platea di “lavoratori poveri” con livelli salariali molto bassi, (quasi 3 milioni, di cui 2 a tempo pieno e 700 mila a tempo parziale). Questa situazione, non giustificabile sotto il profilo etico, produce anche conseguenze negative per l’economia sul piano della diseguaglianza dei redditi, della coesione sociale e del livello della domanda aggregata. Contribuisce inoltre a rallentare la dinamica della produttività, inducendo le imprese a competere solo sul costo del lavoro senza investire in tecnologie innovative. Sicuramente l’introduzione del salario minimo legale avrebbe un impatto sulla struttura produttiva, sulla riallocazione del lavoro e forse sui prezzi relativi. Si tratta di problemi che devono essere approfonditi e risolti, ma il salario minimo costituirebbe una giusta “base di partenza” per ridare dignità al lavoro e ai lavoratori, un livello minimo di retribuzione a partire dal quale i sindacati (possibilmente coinvolti anche nella sua determinazione) potrebbero sviluppare tutta la loro capacità e la loro forza contrattuale.